Faceva un freddo cane. Un vento gelido di tramontana sferzava con tutta la sua energia il vecchio capannone sul cui ingresso s’intravedeva ancora la scritta della vecchia proprietà. La porta di ferro, mezza arrugginita dall’incuria e dal tempo, batteva ritmicamente contro la parete che sembrava tremare a ogni colpo. Un gatto randagio, alla ricerca vana di un pasto facile, si aggirava nei paraggi prima di scomparire dietro la ruota di una macchina parcheggiata.
Paolo aprì la porta e si intrufolò all’interno, soffiandosi tra le mani per riscaldarsi.
Se all’esterno quel luogo sembrava deserto e spettrale, all’interno era una magia di suoni e colori.
Schizzi di rosso, giallo, arancione e verde erano dappertutto. Un secchio di colla addensata attendeva qualcuno per essere stesa, assieme alle migliaia di fogli di giornale stipati in pile altissime. In un angolo, un po’ nascosto da un telo, due ragazzi si stavano baciando, mentre a pochi passi, incurante di loro, un altro fumava stancamente una sigaretta.
In fondo a quel locale senza pavimento e con il tetto coperto da pericolose lastre di eternit, due casse gigantesche trasmettevano il programma pomeridiano di radio Kiss Kiss.
Quello era il capannone dove, da circa due mesi, ininterrottamente, i ragazzi di Larino stavano costruendo i carri di carnevale.
Mancavano pochi giorni alla sfilata, ma tre dei quattro mostri di cartapesta non erano ancora ultimati. Una tigre alta oltre cinque metri, con gli occhi infuocati e le zampe ruotanti, sovrastava un gruppo di fantocci dal volto somigliante ad alcuni politici.
Dall’altro lato della struttura, tre ragazzi erano impegnati a dipingere con un compressore il viso bellissimo di una donna dai capelli rosso fuoco, che al posto del corpo aveva dei tentacoli e nuotava in un oceano disseminato di rifiuti di ogni genere.
Altri pupazzi, non ancora montati sulle strutture principali, erano sparsi dappertutto, tra saldatrici in funzione, fili volanti, pericolose chiazze d’acqua e ragazzi stanchi ma felici.
Paolo salutò un paio di loro, evitando di sfiorarli per non impiastricciarsi il giubbino di colla e resina.
“Marco, scusami, hai visto Simone?”
“Prima era qui. Vedi vicino a quel topo”. Un ragazzo indicò una struttura di carta pesta raffigurante un roditore gigante dalla lunga coda nera.
Paolo vide da lontano suo fratello. Quando si avvicinò stentò a riconoscerlo. Aveva i capelli sporchi, il viso screpolato dal freddo e l’espressione di chi non aveva né mangiato né dormito.
“Ma si può sapere che diavolo di fine hai fatto? È da ieri che non ti ritiri a casa, sapessi com’è incazzato nostro padre…”
Paolo era il fratello maggiore; Simone, sedicenne, faceva semplicemente le cose che aveva fatto lui fino a qualche anno prima.
“Dobbiamo finire, dobbiamo ancora colorare il topo e poi montare il formaggio. Piuttosto dammi una mano invece di stare lì impalato.”
Paolo ci rimase di stucco, non si aspettava una resa incondizionata del fratello, ma quantomeno un atteggiamento più remissivo.
“Senti, fai poco il cretino, stasera vedi di ritirarti sennò ti vengo a prendere a schiaffi. Intesi?”. Paolo fece la voce grossa.
Simone non rispose, si infilò sulla testa il cappuccio della felpa e tornò a impugnare il pennello, ignorando il fratello che se ne andava in silenzio.
Quando si dice che una comunità ha nel proprio Dna alcune tradizioni, si può tranquillamente prendere ad esempio Larino e il suo carnevale.
Giunto quasi alla cinquantesima edizione, i ragazzi di Larino, a inizio autunno, si proiettano già al carnevale, costruendo da zero delle strutture fantastiche che non hanno nulla da invidiare a quelle delle manifestazioni più blasonate come Viareggio o Putignano.
Un’anima di ferro sottile serve a dare il corpo al pupazzo, la carta di giornale mista a colla funge da rivestimento e, infine, il tocco finale del colore per rendere quasi viva quell’autentica opera d’arte.
Una mostra fotografica attribuita al compianto Igino Pilone, presente presso il Palazzo Ducale di Larino, in una sezione dedicata al carnevale, evidenzia come negli anni si è passati da piccoli manufatti ad autentici giganti alti oltre dieci metri e dalle movenze realistiche.
Da qualche anno la manifestazione ha assunto un aspetto diverso, decisamente migliore, con un’organizzazione impeccabile: un circuito cittadino ben delineato per separare il corteo dei carri allegorici dal pubblico, servizi di ogni genere e una zona street food che aiuta ad attirare migliaia di visitatori per vedere i giganti di Larino.
Paolo, rientrato al centro del paese per delle commissioni, si trovò imbottigliato nell’inconsueto traffico cittadino, congestionato dalle solite macchine ma impazzito per via dei transennamenti, del montaggio di alcuni gazebo che sarebbero serviti proprio per il carnevale.
Paolo sorrise e ripensò a quando bigiava la scuola per rifugiarsi in un garage, in un locale improvvisato, a volte anche in un sottoscala, per costruire i pezzi di un semplice pupazzo, pezzi che sarebbero stati montati direttamente in piazza.
Pensò alla prima sigaretta fumata con gli amici e lo sguardo severo della mamma che al rientro a casa aveva capito tutto.
Pensò al primo vero bacio dato a quella ragazza di cui non ricordava neppure il nome, alla quale aveva giurato amore eterno, sciolto come la neve ai primi raggi di sole.
Pensò alla festa durata due giorni interi quando avevano vinto il primo premio con Rockfeller, meritodella somiglianza di quel corvo nero con il pupazzo che spopolava in tv.
Piacevolmente perso in questi ricordi, Paolo non si era accorto che la fila di auto si era dissolta e un anziano in un pick-up aveva iniziato a strombazzare con il clacson per riprendere la marcia.
Il ragazzo tornò a casa e, dopo aver rassicurato i genitori sul fatto di avere ancora un fratello vivo e vegeto, si concentrò sul prossimo esame che avrebbe dovuto sostenere di lì a qualche giorno.
I giorni passarono in fretta e nonostante l’avvicinarsi dello scritto di statistica, Paolo volle vedere come se la stavano cavando i ragazzi, soprattutto nel difficile compito di assemblare quelle strutture di cartapesta. Il pomeriggio sarebbe iniziato il carnevale.
Costruire i carri non era solo un passatempo, ma anche un’autentica palestra di vita.
Oltre alle qualità artistiche, pratiche, organizzative, i ragazzi, molto spesso minorenni, si improvvisavano manovali, elettricisti e vedere condurre un escavatore da un ragazzetto per sollevare una testa di cartapesta con la benna assicurata da un cavo d’acciaio, la diceva tutta su quello che c’era dietro le quinte di quella meravigliosa festa. Oltre a sviluppare qualità artistiche, pratiche, organizzative, i ragazzi, molto spesso minorenni, si improvvisano manovali, elettricisti, e vedere un ragazzetto condurre un escavatore per sollevare una testa di cartapesta con la benna assicurata da un cavo d’acciaio la dice tutta su quello che c’è dietro le quinte di questa meravigliosa festa.
Paolo, a distanza per non sembrare inopportuno, guardava con orgoglio il fratello a lavoro, consapevole dei suoi sacrifici ma anche della soddisfazione che avrebbe provato nel ricevere l’applauso della città.
Dopo oltre due ore di snervante attesa per gli ultimi preparativi, i carri erano tutti allineati lungo il corso principale di Larino, pronti per dare il via a quella edizione, una gara che, vista la qualità dei manufatti, si preannunciava particolarmente equilibrata.
Oltre a diverse piccole strutture fuori concorso, cinque giganti di oltre dieci metri si dividevano il percorso circolare tra i palazzi del centro, preceduti dalla coreografia dei balletti, eseguiti da numerosi bambini in maschera.
Paolo aveva visto un po’ tutti i pezzi dei vari carri ancora in allestimento, ma vederli finiti, in riga uno dietro l’altro, resi ancora più imponenti dalle ali di folla che facevano da contorno, lo rendeva felice.
Il ragazzo era fermo assieme ad alcuni amici, nel luogo ritenuto più strategico per godersi la manifestazione: la piazza antistante il tribunale, dove risultava più facile vedere la coreografia e tutti i movimenti dei corpi di cartapesta animati da pompe idrauliche.
Dopo qualche minuto, il carro di Simone iniziò a svoltare, lasciando viale Giulio Cesare per immettersi in piazza del Popolo. Paolo era emozionato.
Mentre il carro si presentava in tutta la sua maestosità, con le fauci di un drago spalancate e le ali aperte e oscillanti, nonostante il volume della musica piuttosto alto si udì uno sparo.
Un chiaro colpo di arma da fuoco.
Paolo, istintivamente, si voltò nella direzione da dove sembrava fosse partito quel colpo: più di qualcuno si era allarmato e una bambina vestita da coccinella, in braccio alla mamma, iniziò a piangere.
Sul palco allestito per ospitare la giuria, quattro dei cinque ospiti presenti in quel momento si alzarono in piedi per cercare di capire cosa stesse accadendo.
Dopo qualche istante una scena che mai nessuno avrebbe voluto vedere: il corpo esanime di una persona era al centro della piazza, con una macchia di sangue che si allargava a vista d’occhio.
Subito dopo accorsero due carabinieri, dopo neppure un attimo anche due soccorritori si precipitarono sul luogo del misfatto con una cassetta di pronto intervento già aperta e strabordante di garze e dispositivi salvavita.
Un brivido corse dietro la schiena di Paolo. Dov’era suo fratello?
Si staccò dal gruppo di amici e, incurante del marasma che si stava generando in piazza, corse sul carro di carnevale nella speranza di vederlo sulla struttura o dietro la stessa.
Intanto, un uomo con qualcosa in mano che assomigliava tanto a una pistola si stava facendo largo tra la folla e, nonostante il tentativo di placcaggio da parte di alcuni spettatori, si stava dileguando.
Simone non si vedeva, Paolo ebbe un terribile sospetto.
Tra le persone, tra quelle mille maschere variopinte, in quella nuvola di coriandoli, cercò di guardare in direzione di quel corpo rimasto carponi e circondato dai soccorritori e adesso anche da un medico.
Le forze dell’ordine avevano circoscritto l’area, la gente era rimasta incredula, atterrita, immobile, a guardare quel macabro spettacolo.
Anche la musica era cessata, il variopinto corteo si era bruscamente interrotto quando Paolo riconobbe dalle scarpe di suo fratello quel corpo moribondo sull’asfalto. quando Paolo riconobbe, dalle scarpe, suo fratello in quel corpo moribondo sull’asfalto.
Si precipitò su di lui come un proiettile, scaraventando in aria un carabiniere che si era frapposto, anche un infermiere non poté nulla per fermare l’ansia, la collera, il terrore di Paolo che temeva per la vita di suo fratello.
Lo prese tra le braccia, gli sollevò il petto da terra, lo liberò di un cappello sporco di sangue e scosse il viso di Simone rimasto con gli occhi chiusi, inanime, senza dare cenni di vita.
Paolo alzò gli occhi al cielo ed emise un urlò bestiale:
“Noo!!! Ti prego, non morire!!!”
In quell’istante il tempo sembrò fermarsi. Tutto intorno era diventato buio, non c’erano più coriandoli, non c’erano più i mille sorrisi dei bambini, i carri allegorici divennero lucubri e tristi.
Una festa, la festa più attesa, più divertente e scanzonata dell’anno si stava trasformando in una tragedia.
In quel preciso istante Simone, avvinghiato in quello straziante abbraccio fraterno, mosse in modo impercettibile la mano destra, poi l’avambraccio, dopo sollevò la testa e infine aprì gli occhi.
Paolo rimase incredulo, le lacrime di angoscia si trasformarono in speranza, sorrise al fratello, si guardarono a lungo negli occhi, senza parlare, come solo due fratelli sanno fare.
Il mondo tornò a girare nuovamente, le luci e i mille colori ripresero il sopravvento sulle tenebre e anche la musica festosa tornò a invadere l’aria.
Simone rimase seduto sull’asfalto, il fratello, ancora incredulo, lo aiutò a sollevarsi, mentre si liberò, nella piazza gremita, un autentico boato di approvazione e la gente iniziò ad applaudire.
Paolo non capiva cosa stesse accadendo, frastornato prima dallo sparo, dalla vista del sangue poi, dall’angoscia per il fratello moribondo, si limitò a guardare Simone, che dopo un istante iniziò a ballare.
Tutti gli amici di Simone, travestiti da carabinieri, da paramedici, da soccorritori, presero il ragazzo e lo fecero volteggiare in aria tra gli olé della piazza.
Paolo era ancora incredulo, smarrito, gli sembrava di vivere un sogno, ci mise ancora qualche istante per realizzare di essere, semplicemente, la vittima prescelta per lo scherzo dell’anno.
Simone, liberatosi dalla forza festosa della comitiva, gli si fece davanti.
“Che ti avevo detto l’altro giorno? Vuoi darmi una mano? Tu hai rifiutato? Ben ti sta, fratellone mio. Ti voglio bene”.
I due si abbracciarono a lungo, mentre tutto intorno impazzava il carnevale larinese.