Nonostante l’estate fosse entrata solo da alcuni giorni, quella mattina in caserma faceva un caldo esagerato.

Le pale appese al soffitto giravano vorticosamente emettendo un rumore costante, ma invece di apportare refrigerio a quella stanza, spostavano solo l’aria e la polvere facendo volare i fogli dalle scrivanie.

Il vice comandante Lai era seduto al suo posto e ritmicamente appoggiava la mano sulla pila di documenti per impedire che volassero e si detergeva il sudore con un fazzoletto di stoffa bianco. Era solo in ufficio.

Il comandante Maroni  era in ferie da una settimana, le due  pattuglie in servizio era in giro tra le strade deserte del paese, mentre il piantone aveva chiesto di assentarsi per qualche minuto.

Decise di spegnere quell’affare infernale e provare ad aprire la finestra.

Avvicinandosi al vetro, dopo aver constatato che all’esterno la temperatura era superiore, vide in prossimità dell’ingresso un uomo con un cappello bianco che cercava risposte da un citofono muto.

Lai decise di scendere per far entrare quell’uomo che non aveva mai visto fino ad allora.

«Buongiorno, posso esserle utile?»

«Si grazie, dovrei sporgere una denuncia.»

Lai imprecò dentro di sé ma fece scattare la serratura automatica del cancello per dar modo all’uomo di entrare in caserma.

«Sono il vice comandante Lai, mi dica pure.»

L’uomo esitava a parlare e continuava a guardarsi attorno con diffidenza.

«C’è qualcosa che non va?» intervenne il carabiniere.

«Ma lei è qui tutto solo? Mi aspettavo di trovare un plotone di uomini» la sua delusione era palese.

«Un po’ di colleghi sono in ferie, altri sono in giro a presidiare il territorio…» solo dopo aver iniziato quella sequela di giustificazioni, Lai si rese conto che avrebbe potuto evitare.

«Comunque, mi diceva che è qui per una denuncia. Innanzitutto posso chiederle come si chiama?»

L’uomo, dall’età apparente di settant’anni, non molto alto e con un vestito di lino chiaro che faceva pendant con un cappello bianco, mostrò un documento per dichiarare le proprie generalità.

«Carlo Lapenna, nato a Larino, residente a Milano, professione: pensionato» Lai constatò anche che la foto doveva essere di qualche anno prima a giudicare dalla differenza del colore e del numero dei capelli.

 «Alloro mi dica: cosa è successo?» Lai, con un gesto della mano, invitò l’uomo a sedersi.

«Sono originario di Larino e quando posso, torno per qualche settimana, specie in estate. Quando sono arrivato l’altro giorno ho avuto l’amara sorpresa di constatare che qualcuno si era introdotto in casa.»

«Sono entrati dei ladri a casa sua?» Lai intanto prendeva appunti per il verbale.

«No, non credo siano dei ladri. Ho fatto delle verifiche e non manca nulla tra gli oggetti di valore: l’argenteria è al suo posto, un quadro di un certo valore è regolarmente sulla parete e addirittura dei soldi, pochi spiccioli lasciati in cucina, sono ancora lì.»

«Scusi, ma non manca davvero nulla?» Lai iniziava a essere un po’ perplesso.

«Ho controllato minuziosamente tutto. Sono certo: non hanno rubato niente» l’uomo era certo delle sue affermazioni.

«Mi permetta una domanda: ma cosa è venuto a denunciare allora?» la domanda di Lai era più che legittima.

«Giusto. Ci stavo arrivando: la cosa strana è che in casa ci sono degli oggetti, delle cose di poco valore, ma che non mi appartengono. Qualcuno le ha lasciate lì.»

Lai staccò gli occhi dalla macchina da scrivere, cercò di scrutare l’uomo per capire se lo stesse prendendo in giro.

«Ha notato segni alla porta? Qualcuno l’ha forzata?»

«Assolutamente no.»

«Qualcuno, del vicinato, ha forse una copie delle chiavi e magari è entrato?»

«No. Anni fa la cugina di mia moglie che abitava lungo la strada aveva le chiavi e d’inverno entrava regolarmente dietro nostra autorizzazione per controllare. È comunque una casa vecchia: lo scaldabagno, qualche tubo da monitorare, è sempre meglio evitare sorprese. Comunque Maria è morta due anni fa e ci siamo ripresi le chiavi.»

«Mi diceva di sua moglie. È tornata a Larino con lei?»

«Purtroppo mia moglie è venuta a mancare l’autunno scorso» il signor Carlo girò il viso verso la finestra come a voler cercare il volto della donna nel cielo. Un velo di tristezza si dipinse sul suo viso.

«Mi scusi per la domanda, mi dispiace» Lai era tra l’imbarazzato e il dispiaciuto.

In quel momento entrarono in caserma due carabinieri e il loro discutere a voce alta spezzò, tempestivamente, quell’alone di impaccio.

«Mi diceva che ha trovato in casa degli oggetti che non le appartengono: che genere di oggetti?» Lai era più incuriosito che altro, faceva fatica a intravedere delle ipotesi di reato.

«Ho trovato un mazzo di chiavi sul tavolo all’ingresso che non mi appartengono, dei libri sul comodino vicino al letto, una bottiglia di vino in frigorifero e un vaso di fiori all’ingresso» l’uomo rovistava nella sua mente alla ricerca di qualche altro indizio da fornire al carabiniere.

«Ma da quanto tempo mancava da quella casa? Non è che ha lasciato quegli oggetti  precedentemente?» Lai iniziava a cercare lo sguardo dei colleghi per farsi soccorrere.

«Sono tornato da solo durante le festività di Natale, quando sono rientrato a Milano sono certo che quelle cose lì non c’erano. La prego, mi creda» Carlo si mise con le mani giunte quasi a voler supplicare il graduato.

«Se lei è d’accordo facciamo in questo modo: se nei prossimi giorni dovesse notare altre cose strane, torni da me e apriamo una bella indagine. Mi deve capire, in questo momento non posso fare altro…» Lai si alzò dalla propria sedia invitando l’uomo a fare altrettanto.

Carlo, un po’ in imbarazzo ma consapevole di quanto stava accadendo, salutò educatamente e lasciò la stanza.

Lai lo osservava dalla finestra mentre l’uomo, con il cappello in mano e la testa china, oltrepassava la porta carraia e scompariva, lentamente, lunga la strada principale.

Il telefono squillò.

Il vice comandante Lai rispose senza attendere che lo facesse qualcuno al suo posto.

«Pronto? Caserma dei carabinieri di Larino. Con chi parlo?»

«Buongiorno. Mi chiamo Giuseppe abito in contrada Monte a Larino, sono il titolare della fattoria “La Farfalla” vorrei segnalare che qualcuno di notte si introduce nella mia proprietà e mi danneggia le colture. Cosa posso fare? Posso venire a sporgere denuncia?»

«Se ritiene che il danno sia consistente, certamente. Fino alle diciotto troverà qualcuno di piantone» mentre pronunciava queste parole guardò l’orologio sperando che il collega in turno tornasse in caserma…

«Allora lasciamo stare. Non ho modo di allontanarmi dall’azienda, speriamo che non accada più. La saluto e grazie» con un filo di delusione, con un certo grado di amarezza quell’uomo  mise fine alla conversazione.

Il vice comandante Lai, attese il ritorno del collega per la guardia e decise di uscire con l’auto di servizio.

Nel tardo pomeriggio, prima di rientrare in caserma, ripensando all’episodio con l’anziano e la sua delusione, Lai avvertiva dentro di sé un certo malessere. Ad acuire quella spiacevole sensazione, il diniego che aveva, suo malgrado, fornito all’agricoltore. Decise di agire.

Sarebbe andato lui alla ricerca di quell’azienda agricola a vedere di cosa si trattava. Considerando l’estensione della contrada non fu affatto semplice identificare con precisione la zona, ma dietro una curva notò un segnale di legno con una farfalla incisa e capì di essere sulla strada giusta.

Dopo un paio di chilometri lungo un sentiero stretto tra la vegetazione sempre più fitta, si trovò in un luogo incantevole.

Con il lago che faceva da sfondo nella valle, circondata dal grano alto e maturo, una casa, con un invitante porticato all’ombra, accoglieva i visitatori provenienti dalla strada.

Lai fermò la macchina in prossimità del cancello sempre aperto e credendo di aver visto già tutto, rimase letteralmente folgorato nel guardare, sulla destra, verso valle.

Un’immensa piantagione di lavanda disegnava sul crinale della collina quello che sembrava essere un dipinto del settecento.

«Se vuole può avvicinarsi, vedrà ancora qualcosa di sensazionale» il proprietario del terreno con indosso una camicia aperta che lasciava intravedere il petto villoso e abbronzato, con un meraviglioso sorriso dipinto sul volto, diede il suo benvenuto.

«Ma è davvero una meraviglia. La coltiva lei la lavanda?» Lai si avvicinò alle piante che erano circondate da una miriade di insetti.

Bombi, api, cavallette e poi tante farfalle si dividevano quel prelibato nettare.

Giuseppe, accarezzando delicatamente alcuni insetti, tirò via qualche pianta infestante e nello scuotere quei fiori inebriò l’aria di quella fragranza  delicata.

«Questo è il mio piccolo angolo di paradiso. Grazie per essere venuto, francamente non ci speravo. Adesso le faccio vedere una cosa…» l’agricoltore con un’espressione di colpo cupa, indirizzò il carabiniere verso una parte della piantagione che costeggia la strada.

«Vede? Tutte queste piante sono state rovinate da qualcuno che ha strappato foglie e fiori. La pianta così ridotta rischia di morire.»

Effettivamente era un pugno nell’occhio vedere alcune di quelle piante recise e irreparabilmente rovinate.

«Non può essere stato un animale? Qui i cinghiali fanno molti danni…»  ipotizzò Lai.

«Non si tratta di animali selvatici, ma di qualche bestia che di proposito ha tagliato in più punti con un coltello. Ecco qui si vede bene…» Giuseppe mostrò i segni di quello scempio.

«Ha idea di chi possa essere?»

«Francamente no. Mi sembra anche molto strano perché chi mi chiede qualche fiore sono sempre pronto a regalarne almeno uno.»

«Comunque chiederò un po’ in giro. Se dovesse succedere ancora non esiti a chiamare in caserma, tornerò personalmente. Complimenti per tutto questo e arrivederci» Lai si avviò all’auto.

«Grazie a lei di essere venuto. Aspetti, aspetti, prenda questo» Giuseppe, prese una piccola boccetta di vetro e la regalò al carabiniere.

«Sono oli essenziali alla lavanda. Metta una goccia sul collo della camicia e vedrà…» Giuseppe rise di gusto e con la sua manona ancora sporca di terra salutò il vice comandante.

Prima di tornare in auto, il giovane carabiniere si fermò per qualche secondo ad ascoltare quel silenzio che invadeva quella valle incantata, intanto il sole si congedava dietro la collina dipingendo di rosso tutto l’orizzonte.

Credito fotografico: Fattoria “La Farfalla”

Il giorno dopo la calura estiva sembrava essersi attenuata e in caserma il pullulare di persone e di militari, aveva costretto Lai a rifugiarsi nella sua stanza per evitare di ascoltare lamentele e liti di poco conto.

Con la coda dell’occhio, osservando dalla finestra, gli sembrava di vedere ancora quell’uomo, quel Carlo Lapenna della mattina prima, l’inconfondibile cappello bianco spiccava tra le auto in sosta.

Lai si alzò dalla sedia e celandosi dietro le alette della veneziana, si mise a osservare il comportamento dell’uomo.

Era in piedi al fianco di quella che doveva essere la sua vettura, guardava ripetutamente l’ingresso della caserma e il cofano dell’auto, faceva un passo in avanti e uno indietro. Lai decisi di andargli incontro.

«Buongiorno signor Carlo. Tutto bene? Se vuole possiamo entrare e le offro una tazza di caffè.» Lai era come sempre molto affabile.

«È successo di nuovo.»

L’uomo, senza rispondere alla garbata domanda del carabiniere, sembrava voler tirare fuori solo quella frase che gli covava dentro.

«Ha trovato altri oggetti in casa?» Lai gli mise una mano sulla spalla.

«Si. Stamattina mi sono svegliato molto presto, come sempre, e sull’asse da stiro ho trovato tutte le mie camicie lavate e stirate.»

Il vice comandante evitò di fare domande o illazioni e decise di seguire l’uomo a casa sua.

«Andiamo a vedere. Mi faccia strada verrò io a dare un’occhiata.»

Il signor Carlo annuì e ringraziò con un sorriso soddisfatto.

Dopo qualche minuto i due uomini erano sull’uscio di casa nel cuore del centro storico. Una casa tenuta bene, accogliente nel suo aspetto esterno, con delle pietre a faccia vista che le donavano quel tocco di antico e con due fioriere di gerani bianchi appesi ai due lati dell’ingresso.  

Carlo, dopo aver recuperato la chiave dalla tasca, entrò facendo strada.

L’interno sembrava ben curato, tutto era in ordine e sebbene non ci fosse molta luce, in apparenza, tutto sembrava al suo posto.

«Venga, venga. È qui che voglio portarla.» l’anziano si muoveva velocemente tra il tavolo e una madia posto all’ingresso.

Mentre l’uomo mostrava i vari oggetti rinvenuti, ripetendo di fatto tutto ciò che aveva detto già al carabiniere, quest’ultimo osservava con attenzione tutti i particolari che potevano tornare utili a quella piccola indagine privata che stava conducendo.

Nonostante la casa avesse la parte alta di una parete rovinata dalla muffa, quell’odore di chiuso era sopraffatto da una fragranza piacevole, forse di detersivo per pavimenti.

La risposta a questo suo interrogativo la trovò nella sala da pranzo: al centro del tavolo un enorme vaso di cristallo conteneva un mazzo di fiori di lavanda che sprigionava un profumo così intenso da sentirsi ovunque.

«Ecco questo è il vaso che le dicevo ieri. Ho trovato tutti questi fiori all’improvviso, davvero un mistero non trova?»

Lai non rispose e iniziava a mettere tutti i tasselli al proprio posto.

In cucina il calendario sopra il frigorifero era fermo a ottobre dell’anno precedente, mentre sul tavolo in mezzo ad un centrino fatto all’uncinetto, spiccava la foto di una bella donna.

«È la foto di sua moglie?»

«Si è la mia signora» l’uomo prese in mano la foto e la strinse al petto.

«Una bella donna. Posso chiederle come si chiamava?»

«Claudie. Era nata in Francia, ci siamo conosciuti lì. Io ho prestato servizio ad Albenga e un giorno con i miei commilitoni siamo andati oltre confine fino a Nizza. Lei lavorava in un ristorante. È stato amore a prima vista…»

Il maresciallo aveva oramai tutto chiaro.

«Posso vedere i libri di cui mi parlava l’altro giorno?»

«Certo. Sono ancora sul comodino lì dove li ho trovati»

L’uomo tornò e deposito nelle mani del militare tre tomi piuttosto vecchi.

Un libro di poesie, una vecchia guida stradale e un classico. Come Lai si aspettava, tutti in lingua francese.

Il carabiniere posò i libri sul tavolo e prese tra le mani quel mazzo di chiavi che secondo il racconto di Carlo era apparso dal nulla.

«Quelle sono le chiavi di mia moglie. Cosa ci fanno qui?» Carlo adesso sembrava confuso, disorientato. Si mise a sedere.

Il maresciallo Lai gli si sedette accanto ponendogli il braccio sulle spalle. 

«Le manca davvero tanto, vero?»

L’uomo, chinandosi sulle ginocchia, iniziò a piangere.

«Facciamo così: ogni volta che ne avrà voglia andiamo insieme in quel campo di lavanda del signor Giuseppe. Vedrà sarà ben lieto di ospitarla e di farle rivivere quell’angolo di Provence. Però a una condizione.»

«Quale?» l’uomo smise di piangere e ritrovò un po’ di lucidità.

«Che non rovini più le piante di lavanda. Non serve strapparle via, basta chiederle o meglio ammirarle lì. D’accordo?»

Carlo sorrise, annuì e strinse Lai in un forte abbraccio.

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