© Foto di Pietro La Serra

Un rumore improvviso, sordo, provenire dal balcone di casa aveva fatto svegliare di soprassalto Franco Maroni. La moglie dormiva beata al suo fianco incurante del temporale che si stava abbattendo sulla casa in quell’alba di fine inverno.

Decise di alzarsi per vedere se il vento avesse provocato danni.

Fortunatamente si era solo sganciata l’anta del doppio infisso che continuava a battere ritmicamente sul muro, ma affacciatosi sul balcone, si rese conto che un vaso era andato in frantumi con la terra nera dispersa sul pavimento bagnato.

«Me ne occuperò dopo, adesso fa ancora troppo freddo per uscire.»

Il solo pensiero di affrontare quella forte escursione termica tra il tepore della casa e il freddo inverno del terrazzo, lo convinse a rifugiarsi sotto le coperte alla ricerca di quella dolce mezz’ora che lo separava dal suono della radio sveglia.

«Massimo svegliati devi andare all’asilo! Dai fai il bravo che il tuo Pardo ti mette su una bella canzone…»

Maroni adorava iniziare la giornata grazie alla radio sveglia. Preferiva decisamente le note rilassanti di qualche canzone e non il freddo e ritmico beep dal sapore metallico.

Quella mattina l’apparecchio, sintonizzato su una radio locale, aveva restituito la voce graffiante di quel dj che spesso invogliava un bambino, forse suo figlio, ad alzarsi dal letto.

Intanto, mentre la luce aveva oramai invaso la camera, partivano le note di Raf con il suo ultimo successo, Cosa resterà degli anni ’80.

Il caffè a letto per le moglie, qualche biscotto consumato in piedi, la doccia e infine, la divisa.

Tutte le mattine si consumava quel rituale che portava l’amorevole Franco a essere il comandante Maroni.

Non arrivava quasi mai alla stessa ora in caserma. Quella mattina incontrò il suo vice, Luca Lai, nel pressi del cancello principale con le chiavi dell’auto di servizio in mano.

«Buongiorno comandante. Mi stavo recando a verificare una situazione in contrada Cigno  hanno segnalato la presenza di una discarica proprio a ridosso del torrente, vuole venire con me?»

Il comandante Maroni, quando poteva, evitava di chiudersi in ufficio tra le carte della Procura e le immancabili denunce dei cittadini, preferendo l’azione sul campo.

Non molto distante dal centro abitato, dopo qualche pericolosa curva a gomito, s’iniziava a scorgere la valle del torrente Cigno che separava il territorio di Larino da quello di Montorio.

Un luogo quasi incantato. Il verde lussureggiante dei boschi di roveri, quella leggera nebbia che si sollevava dalla valle e quella sottile lingua di acqua provenire dalle colline, facevano assomigliare quel posto allo scenario naturale per un film su fate ed elfi.

«Ecco dovrebbe essere da queste parti. Hanno chiamato in caserma dicendo che dopo il ponticello avremmo trovato una stradina che ci porta fin sul greto del torrente» Lai aguzzava la vista mentre Maroni si godeva ancora il panorama.

«Ci conviene parcheggiare qui. Proseguiamo a piedi» Maroni avendo visto le condizioni sconnesse della strada preferì scendere.

I due attraversarono un fazzoletto di terra seminato a grano e dopo aver affrontato  un fitto cespuglio di rovi si trovarono in prossimità del torrente.

Dopo aver percorso qualche decina di metri, proprio in corrispondenza del ponticello sovrastante, i due furono sorpresi da uno spettacolo raccapricciante.

In un punto in cui il Cigno, più profondo,  si allarga e costruisce  un piccolo lago prima di riprendere la sua corsa verso valle, una montagna di rifiuti, di ogni genere, rendeva quell’angolo di paradiso un’autentica discarica a cielo aperto.

«No! Comandante, presto, venga a vedere» Lai si era spostato di qualche metro e aveva fatto un’ulteriore bruta scoperta.

Quasi una decina di pesci, forse cavedani, erano a pancia all’aria sul pelo dell’acqua e almeno un’altra dozzina di esemplari erano arenati sulla riva opposta.

«Facciamo attenzione, l’acqua potrebbe essere avvelenata.»

Maroni istintivamente si coprì la bocca con il braccio per evitare d’inalare sostanze nocive.

Iniziarono a inventariare il materiale rinvenuto: pezzi di pavimenti tagliati, mattonelle di diverso genere e colore, sacchi di cemento svuotati, tegole, un vecchio divano e poi due fusti di colore verde, semi corrosi dalla ruggine, da cui fuoriusciva una sostanza schiumosa.

«Cosa può essere quella roba?»

Il vice comandante Lai aveva preso un ramo e provava a sondare la consistenza di quella sostanza che aveva inquinato il torrente.

«Non ho la più pallida idea di cosa sia, ma sono certo che la morte di quei pesci non è affatto casuale.»

Maroni era scuro in volto, evidentemente incazzato per quello scempio a cui stava assistendo.

«Per cortesia fai una cosa: dalla radio avvisa la caserma, vediamo chi può darci una mano e fai chiamare anche il Comune per iniziare a bonificare l’area.»

«Subito!» Lai tornò verso l’auto di servizio mentre Maroni iniziava le indagini.

Aveva impiegato pochi minuti per capire come fossero andate le cose: un camion, un furgone, o un altro mezzo, aveva scaricato quella roba direttamente dal ponte sul fiume e complice la scarsa presenza di auto in quella strada secondaria, aveva compiuto il fattaccio.

Dopo qualche ora e tra mille difficoltà, otto uomini, tra operai messi a disposizione dal Comune, due carabinieri e un paio di volontari di un’associazione ambientalista, avevano liberato il torrente da buona parte di quei detriti, posizionandoli sul camioncino della nettezza urbana.

L’elemento che destava maggiore attenzione e assorbiva l’interesse dei due militari era la presenza di quei fusti che da due erano diventati tre.  

Per fortuna o sfortuna che dir si voglia, in quel momento quei recipienti verdi corrosi dalla ruggine erano vuoti e potevano essere esaminati con attenzione per scovare qualche indizio utile ad avviare le indagini.

Su quei fusti non c’era alcuna scritta, nessun segno identificativo, nessun numero che potesse far risalire al prodotto contenuto all’interno, solo un triangolo con all’interno un punto esclamativo, volto a richiamare l’attenzione sulla sua pericolosità.

«È inutile che rimaniamo qui. Andiamo a farci un giro sui cantieri di Larino per vedere se qualcuno ha potuto buttare via quel tipo di mattonelle, o di tegole.»

Maroni era cosciente di essersi messo alla ricerca del classico ago nel pagliaio, ma sentiva di dover agire, di iniziare da qualche parte.

«E se iniziassimo da lì sopra?» Lai aveva un’altra idea.

«In che senso, spiegati.»

«È evidente che questi materiali siano stati buttati dal ponticello, vediamo se questi farabutti hanno lasciato qualche traccia lì.» Lai indicò con la mano il punto esatto da cui avrebbero dovuto iniziare.

Senza obiettare nulla, ma senza dare la giusta soddisfazione al suo sottoposto, Maroni s’incamminò verso la strada.

Erano affacciati dalla balaustra di ferro, direttamente sul torrente, nel punto esatto in cui qualcuno aveva buttato i rifiuti.

Sulla strada non c’era alcuna traccia. La pioggia caduta in quei giorni aveva cancellato ogni segno di pneumatici, così come la fitta vegetazione sottostante aveva nascosto per chissà quanto tempo quel materiale rinvenuto solo per caso da un passante.

«Siamo punto e accapo» Maroni era quasi felice di non aver trovato nulla.

«Capitano, presto, venga. Guardi lì, sul ramo, mi sembra un libro» Lai era riuscito a scovare, tra il ponte e il torrente, un libro incastrato tra i rami.

«Cosa ci fa un libro sopra un albero?» Maroni s’interrogava a voce bassa.

«Forse chi si è liberato di quella porcheria ha deciso di gettare anche il libro che è rimasto incastrato tra quei rami. Cerco di prenderlo.»

Non fu affatto semplice recuperarlo. La distanza dal ponte, il timore che potesse cadere nell’acqua e i numerosi rovi che sembravano rasoi acuminati sul dorso delle mani del malcapitato Lai, resero quella presa un’ autentica impresa.

«Ci sono, ci sono!»

Dopo aver scavalcato il parapetto, sostenendosi con una mano al ferro e allungandosi come una molla, il giovane militare afferrò saldamente il libro.

Il manoscritto era piuttosto rovinato, ma si leggeva chiaramente il titolo: Lezioni sull’abisso di un autore sconosciuto, cosa ancora più importante, sul dorso del volume, un piccolo adesivo che riportava il nome della biblioteca comunale Bartolomeo Preziosi di Larino.

«Si tratta di un libro preso in prestito. Muoviamoci, andiamo in biblioteca.»

Maroni riuscì a precedere il collega per evitare di subire l’ennesimo smacco.

Dopo qualche istante erano nello splendido atrio del Palazzo Ducale di Larino, sede del Municipio cittadino, di una scuola e della storica biblioteca.

«Buongiorno, chiedo scusa per il disturbo, vorremmo un’informazione se possibile: questo libro è stato dato in prestito a qualcuno?»

Maroni si rivolse all’impiegata che lasciò il suo compito per dirigersi verso il registro dei prestiti, felice di mettersi a disposizione e di avere un certo diversivo al suo lavoro.

«Non l’ho consegnato io, in prestito, mi ricorderei. Però possiamo verificare, mi dia solo un attimo.»

La donna aprì un grosso quaderno grigio, iniziò a scorrere alla ricerca del titolo o dell’autore e dopo aver percorso a ritroso due o tre pagine, restituì ai due militari uno sguardo soddisfatto:

«Eccolo. Trovato! Il libro è stato preso in prestito due settimane fa da Michele Serra, l’avvocato, lo conosce? Se vuole posso darle anche l’indirizzo di residenza e il numero di telefono.»

«Si grazie, gentilissima. Ho intenzione di fargli una visita» Maroni era insofferente.

Mentre i due carabinieri si accingevano a lasciare la biblioteca, la donna li richiamò.

«Scusate, ma il libro ve lo portate?»

«Certamente, ci serve per un’indagine.» rispose Maroni.

«Non c’è nessun problema, ma dovete compilare il modulo. Da questa biblioteca non esce nessun libro se non sappiamo chi ce l’ha in custodia.»

Imbarazzati da quell’episodio, i due militari tornarono indietro e compilarono il modulo preposto, come due scolari indisciplinati. 

«Comandante, sa già dove andare?» Lai conosceva poco le persone del posto e soprattutto la loro residenza.

«Certamente. L’avvocato abita in quelle cooperative che hanno costruito da poco verso il carcere. Credo che abbia lo studio al piano inferiore, se siamo fortunati lo troviamo lì.”

Dopo pochi minuti i due erano sotto casa dell’avvocato con il libro in mano e con in mente una serie di domande.

Non fecero neppure in tempo a suonare all’appartamento occupato da Serra che l’uomo, avendo sentito il rumore dell’auto, si affacciò alla finestra.

«Salve. Cercate me?»

L’avvocato, vedendo arrivare l’auto dei carabinieri, aveva pensato a qualche episodio legato a un suo cliente e invece in questo caso era proprio lui il “ricercato”.

Maroni, per discrezione, chiese di entrare e appena dentro casa dell’uomo, gli mostrò il libro.

«Ha preso in prestito lei questo dalla biblioteca?» il carabiniere gli mostrò il manoscritto

«Ecco dove era finito. Sono giorni che lo cerco. Mi spiegate come fate ad averlo voi?» l’avvocato appariva perplesso.

«Scusi mi vuole dire che aveva smarrito il libro?» Maroni stentava a credergli.

«Sono un grande appassionato di pesca subacquea, compro spesso libri sul mare, ne leggo tantissimi, specie d’estate. Non ricordavo di averlo preso in biblioteca.»

«A dire il vero abbiamo trovato il libro nei pressi del ponte sul Cigno, lungo la strada che porta a Montorio. Abbiamo fatto una ricerca e siamo risaliti al suo nome.»

«Non pensavo che i carabinieri fornissero il servizio di riportare i libri smarriti…» l’avvocato cercava di essere brillante.

«Peccato che affianco a questo ci fosse una discarica che ha inquinato il torrente. Lei non ne sa nulla?» Maroni lo incalzò.

«Assolutamente, no. State scherzando?»

«Allora come può essere finito questo libro in quella discarica? Ha avuto ospiti in casa? Qualcuno di estraneo?» Maroni invita l’uomo a riflettere.

«Adesso che ci penso ho chiamato una ditta di traslochi, i fratelli Travaglini,  per farmi portare dei mobili da qui alla casa a Vasto. Potrebbero essere stati loro a rubare il libro?»

«Verificheremo. La saluto» Maroni si congedò.

Il vice Lai, rimasto in prossimità della macchina, non aveva ascoltato tutta la conversazione e voleva ragguagli su quanto detto.

«Ti spiegherò tutto mentre andiamo verso l’ufficio dei fratelli Travaglini, quelli che hanno fatto il trasloco anche in caserma. Pare abbiano lavorato qui, vediamo cosa hanno da dire.»

Trovarono Luigi Travaglini, il più anziano dei due fratelli, che stava andando via dall’ufficio, riuscirono a fermarlo in tempo.

«Buonasera signor Luigi. Come va?» Maroni conosceva da tempo quell’uomo.

«Bene grazie. Stasera vorrei tornare prima a casa, posso fare qualcosa per voi?»

«Vorrei mostrarle un libro: l’ha mai visto?» Maroni mise in mano di quell’uomo il manoscritto.

«Certo che lo conosco. Mia figlia ha studiato psicologia, si è laureato con il massimo dei voti e questo libro è stato in casa mia per mesi.»

«Scusi cosa centra la psicologia con questo libro?» Maroni era perplesso.

«Comandante mi meraviglio di lei. Questo libro tratta della storia di un uomo disperato che riflette sulla propria condizione. Parla dell’abisso interiore.»

«Noi pensavamo si trattasse di un manuale di pesca…» Maroni coinvolse anche Lai che sorrise suo malgrado.

«Scusatemi, ma volevate chiedermi qualche preventivo per un trasloco?» l’uomo era perplesso per quanto stava accadendo.

«Volevo solo chiedere se ha lavorato direttamente lei dall’avvocato Serra o suo fratello?» Maroni cercava conferme.

«Me ne sono occupato da solo. Ho portato quattro cose da Larino a Vasto, non mi sono fatto neppure pagare, Antonio è un amico di vecchia data. Perché me lo chiede è successo qualcosa?»  l’uomo si mostrò preoccupato.

«No nulla. Una nostra curiosità…»

L’uomo si avvicinò a Maroni e prima di congedarsi, gli passò ripetutamente la mano sul retro della giacca.

«Comandante dove è stato ha tutta la divisa sporca di intonaco.»

Fu Lai a prendere la parola e congedare l’uomo, facendo segno al collega di sbrigarsi.

«Ma sei impazzito? Stavo cercando di arrivare con discrezione a capire se avesse preso lui il libro da quella casa…»

«Non è necessario. Credo aver capito come sono andati i fatti.» Lai si mise alla guida per tornare dall’avvocato.

«Mi spieghi per favore? Perché pensi che sia stato l’avvocato?» Maroni era dubbioso.

«Dove credi di esserti sporcato la giacca?» Lai partì da lontano.

«Non ho idea. Hai presente da stamattina quello che abbiamo fatto? Sentiamo dove me la sarei sporcata?»

«Secondo me l’avvocato sta facendo dei lavori a casa. Ti sei appoggiato al suo muro all’ingresso.» Lai metteva il suo primo tassello.

«Il libro? Perché avrebbe dovuto buttarlo?» chiese Maroni.

«Semplice: l’avvocato non ricordava di aver preso in prestito il libro, quando ha letto che non si trattava di una storia di mare ma di psicologia se ne è disfatto…assieme al materiale che abbiamo ritrovato nel Cigno»

«E quei fusti di liquami?» Maroni pendeva dalle labbra del collega.

«Questo dovrà dircelo l’avvocato.» questa volta Lai non aveva una spiegazione.

I due militari bussarono direttamente nell’ingresso secondario, in quella che doveva essere la tavernetta, la cui luce accesa tradiva la presenza di qualcuno.

«Buonasera. Di nuovo qui?» l’avvocato appariva seccato.

Maroni senza chiedere permesso fece qualche passo all’interno e vide il caminetto nuovo di zecca con ancora la vernice fresca sul muro.

«Avvocato ha ristrutturato casa?» Maroni si mostrava curioso.

«Si. Non è mica un reato.»

«Lo è se smaltisce in modo poco ortodosso i materiali. Mi dica cosa contenevano quei fusti» Maroni aveva capito dal volto dell’uomo di averlo incastrato.

«Avevo quei bidoni da una vita in cantina, credo siano dei solventi che utilizzava mio padre. L’altra sera ho fatto piazza pulita assieme alla roba che ha lasciato qui il muratore. Ho fatto una cazzata.»

l’ammissione incondizionata di un uomo che sapeva a cosa sarebbe andato incontro.

«Mi tolga una curiosità? Come siete risaliti a me?» l’avvocato si mostrava curioso.

«Buttare quei rifiuti è stato un errore imperdonabile, ma buttare quel libro l’ha condannata.»

«Dannato libro. Non era neppure il mio genere.»

Il vice comandante Lai, fino a qual momento in silenzio, lo guardò con aria schifata:

«L’ho sempre detto che i libri ci salveranno la vita. Spero che questo abbia rovinato la sua.»

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