Mancava un giorno, un solo giorno, all’inizio della festa.
Quell’anno a Larino, la ricorrenza del Santo Patrono era particolarmente sentita. Dopo due anni, come non era mai successo prima nella storia, il Santo tornava in processione in mezzo al suo popolo.
La pandemia aveva lasciato una cicatrice profonda, ma fortunatamente, le mascherine erano solo un vago ricordo e in quei giorni, nella frenesia dei preparativi, si era riscoperto anche il gusto di quel pratico e anti igienico utilizzo delle mani per mangiare, ritrovando così il sapore di una nuova libertà.
Tutto il gruppo di amici era intorno al tavolo. Fave fresche e formaggio, questo il frugale pasto da consumare velocemente, sudati, sporchi, ma felici di vivere, tutti insieme, la vigilia della festa.
In quei giorni si sentiva l’esigenza di stare uniti, di vivere vicino alla stalla, di respirare l’aria di maggio, di sentirsi tutt’uno con il carro e gli animali.
Proprio una coppia di vacche maremmane, bianche come il marmo e placide come il mare d’agosto, pascolava indisturbata, osservando da lontano quel carro oramai pronto per celebrare la festa.
Eh si, il vero grande protagonista: il carro di San Pardo.

Oltre centoventi di questi carri, trainati da buoi e adornati mirabilmente con fiori di carta e preziosi merletti fatti a mano, si recano in processione ogni 25 26 e 27 Maggio, per le strade del paese, seguendo un percorso che rappresenta un autentico rituale.
Il primo giorno il corteo lascia il centro storico per recarsi presso il cimitero cittadino per prelevare il simulacro di San Primiano, per poi fare ritorno verso la Cattedrale con il corteo accompagnato da una spettacolare fiaccolata.
Il 26 il giorno più sentito da tutta la comunità, i carri in tutta la loro maestosità e con una palma di olivo sul timone principale a simboleggiare la pace e l’abbondanza, procedono, lentamente, per le strette stratte del borgo medioevale assieme ai santi portati in spalle.
Il 27, la processione ripercorre, all’inverso, il tragitto del primo giorno con la solenne conclusione in Cattedrale, dove la comunità si ritrovava riunita per la benedizione impartita dal Vescovo dell’antica diocesi di Larino-Termoli.
L’origine della festa, si perde nella notte dei tempi.
Correva l’842, quando dell’antica a gloriosa Larino romana erano rimaste solo le macerie intorno al monumentale anfiteatro e ai suoi mosaici.
Saccheggiata dai Saraceni e umiliata dagli abitanti di Lesina che trafugarono le sacre spoglie dell’allora santo protettore, San Primiano.
L’oltraggio andava vendicato. Un manipolo di uomini, guidati dalla fede e armati di coraggio, si recò nel vicino centro Dauno per recuperare le spoglie del santo.
Cosa accadde davvero quella notte non è dato sapersi, la leggenda narra che San Pardo, sepolto nei pressi di Lucera, per evitare spargimento di sangue, apparve in sonno ai larinati che decisero di portare a casa le ossa di questo mirabile santo, sopra un carro trainato da una coppia di buoi.
Era il 26 Maggio e da allora fino ad oggi questa antica tradizione è stata portata avanti sfidando il tempo e oggi, ogni abitante di Larino, per appartenenza familiare, per legame di amicizia, è legato a uno dei carri.
Proprio questo forte legame, questo senso di appartenenza, teneva uniti otto amici, impegnati, come detto, negli ultimi preparativi alla vigilia della grande festa.
«Ragazzi chi mi viene a dare una mano?» Massimo, armato di pala e carriola, si accingeva a pulire la stalla prima di fornire ricovero agli animali che sembravano osservare divertiti.
«Io ho da fare, devo scappare in chiesa a prendere il numero e le torce e poi devo passare ancora da Rosario per la palma da mettere sul carro…» Aldo era il più eccitato e si dileguò in un attimo.
Antonio fece finta di non sentire, impegnato nel controllare l’impianto elettrico del carro e che il sistema frenante funzionasse alla perfezione.
«Vengo io. Aspetta solo un attimo che scarico la paglia dalla macchina e ti raggiungo.»
Pardino, il più grande del gruppo, era anche il più disponibile e dopo poco si recò nei pressi della stalla portando con se anche suo fratello Roberto, arrivato da poco e ancora con i panni di lavoro sporchi di vernice.
Proprio quest’ultimo, con un leggero rossore in viso e in evidente stato di imbarazzo, si rivolse a tutti: «Ragazzi, ieri sera mi ha chiamato Francesco, vorrebbe venire anche lui al carro. Che ne dite?»
La domanda per come era stata rivolta, sembrava non avere un destinatario e invece tutti sapevano che era Massimo chiamato a dare una risposta.
Chi era Francesco? Trota, come lo avevano sempre chiamato tutti nella comitiva, era un altro membro storico del gruppo che dopo una lite con Massimo per motivi legati a vicende familiari si era allontanato da tutti. Il suo trasferimento a Campobasso per motivi di lavoro aveva fatto il resto e oramai vederlo a Larino era un evento.
«È ancora un titolare del carro, vero? Quindi mica deve chiedere il permesso per venire alla festa. Certo non si aspetterà di sedersi in trono…» Massimo, con un tono quasi sprezzante, aveva liquidato la faccenda.
«Dai ne parliamo tutti stasera. Tanto ci vediamo giù come sempre, vero?» Antonio, era sceso dal carro e intervenne per spegnere un incendio che sarebbe potuto divampare.
Si sarebbero visti giù al centro storico, come facevano tutte le sere di Maggio.
A Maggio a Larino l’aria è diversa. Il merito non è solo del clima primaverile, del profumo delle acacie in fiore, del vociare dei bambini che tornano a correre per le strade, si respira un profumo di buono fatto di rinnovata cordialità dove ogni cosa negativa può essere rimandata a “dopo San Pard”.
Quella sera non si parlò di Francesco, non si parlò di nulla, ci si limitò a vivere il momento visto che alla comitiva si erano uniti anche Daniele e Saverio con quest’ultimo che offrì da bere a tutti, mentre erano seduti comodamente da Enzo, sotto lo sguardo severo dell’imponente statua di bronzo dedicata ai caduti in guerra.
Quella sera non fecero tardi, il giorno seguente sarebbe stato il primo giorno di festa.
Sin dalle prime ore della mattina il carro era pronto in tutta la sua magnificenza.
Roberto stava completando gli ultimi ritocchi di lucido sul timone.
Daniele, pericolosamente in piedi su una sedia, era intento a sistemare i fiori più alti, sapientemente fatti a mano, uno a uno, ogni anno sempre diversi, dalle mani della mamma e della zia.
Saverio e Antonio ingrassavano le ruote del carro, Aldo e Pardino stavano facendo bere gli animali, mentre Massimo stava postando le foto in anteprima sui social network.
«Ragazzi vi faccio i miei complimenti. Anche quest’anno il vostro carro è davvero molto bello. Poi queste rose rosse sembrano vere e questi merletti farebbero invidia al vestito di una sposa. Bravi!»
Un passante che solo Roberto sembrava conoscere, si era soffermato allungo per ammirare tutte le finiture e i dettagli di quel picco-grande concentrato di fede, amore e amicizia.
In lontananza, dalla collina prospiciente il centro storico, uno sparo e poi un altro, scandiva i tempi. Bisognava affrettarsi, bisognava partire, l’appuntamento, per tutti era la piazza principale del centro storico di Larino, luogo deputato per l’inizio della lenta e lunga processione.
Dopo qualche ora, sotto il sole ancora caldo di quel pomeriggio, la piazza esplose nella sua più variopinta e rumorosa espressione.
Il muggito degli animali si mischiava al vociare delle persone, il colore dei fiori si stagliava sulle pareti di pietra delle case antiche, la leggera brezza si divertiva a trasformare le innocue nuvole trafitte dalle rondini tornate di recente.
Il viso fiero di Pardino era già sudato, conduceva lui le mucche tra i vicoli più angusti e tortuosi del centro storico dove, nell’angolo più stretto tra Via Seminario e Via Leone, lo sguardo attento di un anziano sembrava volesse consigliare i giusti movimenti per evitare di scivolare sull’infido selciato di pietra.
«Ciao ragazzi, come state?»
Francesco, in perfetto ritardo, come sempre, era arrivato.
Tutti gli amici gli si fecero incontro per salutarlo con affetto. Solo Massimo, rimasto sul bordo sinistro del carro che richiedeva particolare attenzione affinché non strisciasse nella strettoia finale della strada, fece finta di niente.
Francesco, in maggiore difficoltà per essere tornato dopo tanto tempo, non ebbe il coraggio di avvicinarsi, i due si ignorarono per il resto della processione nell’imbarazzo generale che rischiava di compromettere la festa tanto attesa.
Nessuno degli amici ebbe il coraggio di intercedere, di cercare un avvicinamento, di fare qualche battuta per rompere il ghiaccio fra i due, si limitarono, imbarazzati, a parlare o con l’uno o con l’altro.
Il percorso stava per terminare, il carro si avviava a transitare avanti alla Cattedrale per l’apoteosi.
La maestosità del portale della chiesa trecentesca dedicata all’Assunta e al santo patrono, era pronta per abbracciare tutti. Il magnifico rosone a tredici raggi sembrava riflettere la luce delle torce portate dai devoti, mentre le campane di bronzo riempivano con il loro potente suono tutto il circondario fino alla valle del fiume.
Ogni carro, anche per qualche secondo, ha il privilegio di fermarsi all’ingresso principale della Basilica dove una folla assiepata sulle scale del sagrato, ammira ogni dettaglio del carro in tutta la sua bellezza.
Fu proprio in quell’istante che lo sguardo di Francesco si incrociò con quello di Massimo, i due, istintivamente, abbassarono gli occhi per difendersi, poi, assieme, tornarono a guardarsi.
Massimo sorrise, timidamente, forse per il timore di ricevere un rifiuto.
A Francesco gli si illuminarono gli occhi.
Impiegarono un istante per divincolarsi tra quella folla e rifugiarsi in un abbraccio sincero, forte, vero.
Erano stati troppo tempo l’uno senza l’altro, a torto o a ragione, avevano fatto vincere l’orgoglio, il trascorrere del tempo aveva esacerbato gli animi, la distanza fisica tra i due aveva fatto il resto, un’amicizia sincera sembrava essersi persa nel nulla.
Adesso si erano ritrovati, non vollero parlare del passato, di quei futili motivi che erano stati alla base dei lori dissidi, volevano guardare avanti, lo avrebbero fatto per il bene che si volevano, per il rispetto nei confronti degli amici, felici di quella serenità ritrovata.
Con le lacrime agli occhi, i due rimasero stretti per qualche secondo, incuranti di tutto ciò che stava accadendo intorno. Sull’altro lato della strada, scortato da quattro uomini in livrea rossa, il carro con su il busto argenteo di San Pardo stava transitando in piazza.
Quando i due amici, ancora stretti, con il braccio dell’uno sulla spalla dell’altro, alzarono il viso, si trovarono a guardare assieme il loro Santo, felici di quella ritrovata amicizia, baciata da quel calore della festa e benedetta da Lui che li aveva fatti ritrovare grazie a quel piccolo miracolo che solo San Pardo poteva fare.
